Home Cronaca La processione, i cavatori, i sofferenti e i guardoni. Domenica a Guidonia dagli occhi di Ciccotti

La processione, i cavatori, i sofferenti e i guardoni. Domenica a Guidonia dagli occhi di Ciccotti

La processione, i cavatori, i sofferenti e i guardoni. Domenica a Guidonia dagli occhi di Ciccotti

di Eusebio Ciccotti

La Festa religiosa e civile della Madonna di Loreto, di metà settembre, per la città di Guidonia, diciamo di quella parte urbanistica ed edilizia che fu il nucleo fondante della attuale grande città di Guidonia Montecelio, è una tradizione che si rifà agli inizi degli anni Quaranta. È organizzata puntualmente da un laborioso e solerte Comitato, cui vanno i complimenti. Dopo la solenne messa, presbiteri e fedeli, portano la statua della Vergine di Loreto in processione per le vie cittadine. Parte attiva ricopre l’Arma dell’Aeronautica, che ha nella Vergine di Loreto la protettrice degli aviatori.

La processione. Quest’anno la processione ha avuto l’onore di essere aperta da ben tre Vescovi facenti parte dell’ordine dei frati francescani minori, messicani, comunità molto presente in Italia, terra di missione, cui è stata affidata dal 2017 la parrocchia di Santa Maria di Loreto. Partecipare alla processione è una toccante esperienza sia di preghiera che comunitaria. Ecco che la processione si snoda per le vie di Guidonia con gli scout in testa, i militari dell’Aeronautica e la statua della Vergine sulle loro spalle, il vicesindaco, la Polizia di Città, i presbiteri e i Vescovi, la Banda musicale cittadina, la corale, le associazioni della parrocchia, e, per ultimo (ma, gli ultimi …) il popolo tutto. È non solo uno spettacolo di luci e colori, ma un’immersione spirituale nella vita autentica. I protagonisti siamo noi concittadini che, sovente, nelle fretta quotidiana, non abbiamo tempo neanche per salutarci. Qui, la Chiesa, cioè noi, ci offre l’occasione di fermare per un attimo il ritmo impazzito del nostro tempo senza tempo; la Chiesa ci fa diventare, per un’ora, un’altra realtà: ci trasforma in una comunità orante. Un comunità che prega per le vie, sorpassando le auto parcheggiate, lasciandosi alle spalle stravaganti cartelli pubblicitari, schivando qualche piccola buca; con i rumori di fondo che si attenuano man mano che i misteri del Santo Rosario salgono sempre più decisi in alto. Questa nostra sacra tradizione popolare l’abbiamo vista in tanti film del nostro cinema: il primo che mi viene in mente è Viaggio in Italia di R. Rossellini, 1954 (si veda la chiusa del film, di sapore manzoniano). L’Italia, senza la processione in onore del Cristo, della Vergine Maria o del santo Patrono non sarebbe l’Italia: perderebbe il rosso della fede, l’azzurro della speranza, il giallo-oro della carità. Sarebbe un paesaggio sbiadito, dai colori smorti. L’Europa senza il Cristianesimo, una vecchia fotocopia Xerox; il mondo senza Cristo, un globo sgonfio, raggrinzito. E mentre camminiamo e preghiamo guidati dal Parroco, Padre Diego, col suo rassicurante vocione da baritono, un altro frate, Padre Arturo, va avanti e indietro lungo la fila dei camminanti sorridendo ai fedeli come per ringraziarli della loro resistenza all’inatteso solleone settembrino. Lungo il percorso i Vescovi benedicono i fedeli in carrozzina. Giunti di nuovo in Chiesa la Banda chiude con “Madonna nera”, dopo aver omaggiato Maria SS. con canti italiani e con quello messicano dedicato alla Vergine di Guadalupe: in un simbolico e originale abbraccio mariano intercontinentale. Vescovi e i presbiteri ci benedicono e ci aspergono con l’acqua santa; i fedeli lucrano l’indulgenza plenaria. Tutti noi, porgiamo gli auguri a Maria, nostra Madre, e, nel segreto dell’anima, Le chiediamo di intercedere presso suo Figlio, suo e nostro Dio. Poco prima che l’assemblea si sciolga, Padre Le Brac filma i partecipanti con delle panoramiche da far invidia al Luis Buñuel del periodo messicano.

I cavatori. La processione, all’altezza del Palazzo Comunale, nei pressi del colonnato della vecchia Scuola Media Leonardo Da Vinci, incontra, in una sorta d’inattesa stazione da via crucis, i cavatori. Essi mostrano un cartello: “Siamo tutti cavatori”, che credo voglia dire, ‘siamo tutti fratelli, siamo tutti licenziabili’. Ricevono un saluto di benedizione dai religiosi e ringraziano con un applauso, composti. Tutti noi, nel nostro cuore, rivolgiamo una preghiera alla Vergine e a San Giuseppe per i nostri fratelli cavatori.

I sofferenti. Mi colpisce la famiglia di Matteo. Il papà, la mamma e Matteo stesso, sono presenti ad ogni festa religiosa e in tutte e tre le processioni dell’anno liturgico. Matteo, 17 anni, è in carrozzina. L’ho conosciuto anni fa incrociandolo nei corridoi dell’Istituto Minniti, che egli ha frequentato. Il papà spinge, sotto il sole inclemente, la carrozzina e la mamma lo fa bere più volte, perché Matteo ha sete. Poi, finita l’acqua, la donna va sollecita verso la fontanella di via Lunardi e la riempie. Il popolo di Dio continua a pregare, così il padre dal volto sereno, così la madre delicata e attenta. Matteo, con i suoi grandi e begli occhi innocenti mi fa un cenno di saluto. Siamo al quarto mistero della gloria. Noi tutti siamo cavatori. Noi tutti siamo Matteo. A metà del viale la Maestra Licia Bernacca, sul lato della strada, è su una carrozzina. Ultranovantenne. Assistita dai suoi parenti. È stata “la Maestra di Guidonia” per antonomasia. Colei che ha insegnato a scrivere e a leggere a tutta la città: futuri medici, avvocati, professionisti, docenti, imprenditori, operai, magistrati, politici, ecc. Ella, innamorata della Vergine, non poteva non omaggiarla. Uno dei vescovi si stacca dalla processione e con un presbitero la vanno a salutare e benedire. La Maestra Licia, volitiva, pur con i suoi acciacchi, mantiene la sua verve.

I “guardoni da bar”. L’ipotetico forestiero che aderisse alla processione potrebbe chiedersi: perché molti uomini e donne, giovanotti e splendide signorine, sostano davanti ai bar e guardano la processione senza parteciparvi? Eppure sembrano godere di ottima salute. Appaiono palestrati e abbronzati. Chi armeggia con nonchalance intorno ad un aperitivo con oliva; chi adagia tra le rosse labbra un candida sigaretta; chi fa dardeggiare i filtrati raggi solari dalle fronde dei platani sul suo ultimo modello di i-phone poggiato, con délicatesse, ora sull’orecchio destro e, oplà, ora sul sinistro. Non fraintendetemi: sono ottime persone. Del resto, la loro presenza nei bar consente a tanti giovani di lavorare. E poi, è inimmaginabile che tutta la città vada in processione. Ci mancherebbe! In realtà, ci verrebbero anche loro dietro al Cristo e a Maria di Loreto, ma oggi, purtroppo non possono. Hanno gravi preoccupazioni cui badare e sono al bar proprio per questo! Debbono chiedere consiglio/raccomandazioni/favori agli amici. Hanno dimenticato che quel giovane adagiato su un pezzo di legno o quella statuetta di donna traballante sono i veri amici. Se “loro vogliono aiutarmi, la facciano! Io non faccio del male a nessuno. Io sono pure cristiano! Anche se non praticante. La processione? Rito inutile, da bigotti”. I “guardoni da bar” non sono come Matteo. Né come la Maestra Licia. Godono di ottimi arti inferiori. Tonificati in palestra, nella corsa, nel nuoto, nel calcio o nell’ippica. Potrebbero fare almeno cento metri accanto a Maria, ma oggi, ripeto, non possono. E la libertà va rispettata. Sono sicuro che alla prossima processione ci saranno anche loro. E dopo, tutti al bar.

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