Home Cronaca Guidonia, le bugie di Barbet sulle cave. Quello che il concilio 5S non dice: 20 aziende messe sul baratro e licenziamenti in vista

Guidonia, le bugie di Barbet sulle cave. Quello che il concilio 5S non dice: 20 aziende messe sul baratro e licenziamenti in vista

Guidonia, le bugie di Barbet sulle cave. Quello che il concilio 5S non dice: 20 aziende messe sul baratro e licenziamenti in vista

Cinquanta operai andranno a casa entro un mese, una ventina le aziende estrattive già sul ciglio del burrone, ventiquattro le ore di fuoco per la città, uno il sindaco di Guidonia Montecelio che affronta la bufera scoppiata sulla chiusura delle cave, senza dire la verità. Michel Barbet dato in vacanza, in tarda mattinata invece gira trafelato, affronta una crisi pericolosa divampata come un incendio dopo che il Comune è passato dagli avvertimenti alle revoche, imponendo lo stop all’attività. Parla di “terrorismo psicologico” il cinque stelle, nella nota che arriva a metà pomeriggio dopo che è stato raggiunto dagli attacchi dal Pd locale e regionale, da Forza Italia, fino ai parlamentari bipartisan. Tutti in moto per difendere il settore produttivo del travertino al centro di una guerra vera e propria (da anni) diventata però letale negli ultimi mesi, quando i pentastellati si sono trovati, in una elezione vinta dall’astensionismo, a governare Guidonia. L’inizio della vigilia di ferragosto che ha gettato nella preoccupazione centinaia di operai, è la revoca dell’autorizzazione a una delle aziende più grandi del territorio. Ma è la prima di una serie. L’agitazione dilaga da Guidonia a Roma, dicono i bene informati che l’assessore regionale Manzella abbia convocato una riunione post ferragosto. Ci sono i toni di urgenza. Vale la pena intanto capire il contesto.

Terranova e le incompatibilità. Il settore in questione a Guidonia è nelle mani della dirigente Paola Piseddu, è l’architetto ad aver firmato le carte, a essere diventata un simbolo – diciamolo chiaro e tondo – della battaglia sulle cave. Un simbolo, un parafulmine, nessuno ancora lo capisce bene. Lo era ai tempi di Eligio Rubeis, come dimenticarlo. Si è detto e scritto sulla dirigente, idolatrata un anno fa dai cinque stelle perché vista anti-sistema fino al midollo e poi subito però digerita a fatica. Utilizzata come una giustificazione, “c’è la Piseddu” è una frase magica in Comune per dire che non passa niente, ma sul fronte delle attività estrattive la storia è colorata di diverse sfumature. Gli imprenditori d’altronde hanno sollevato l’incompatibilità della dirigente di fronte alla segretaria comunale Annalisa Puopolo. La Piseddu che vuole essere attenta a non intrecciare rapporti personali, interessi professionali e lavoro, si è infatti tirata indietro dalla guida del settore urbanistica, mesi fa, proprio per incompatibilità dichiarata, visto che la sorella, architetto anche lei, collabora storicamente con le aziende di Bartolomeo Terranova. Un nome che a Guidonia significa urbanistica che conta, lottizzazioni, trasformazioni, compensazioni. Piseddu si è voluta spostare. Il rischio (come accaduto in passato) era di dover firmare per qualche fascicolo urbanistico dove la sorella aveva predisposto le carte per Terranova. Ma sempre il ragioniere ha avuto un ruolo da protagonista in quella che le cronache hanno chiamato la guerra dell’acqua. Si tratta, meglio ricordarlo, del patron dell’acqua sulfurea, il “re” delle Terme di Roma al quale tra l’altro, con anticipo, il consiglio di Tivoli ha prorogato la gestione in esclusiva, senza bando e fino al 2031, un’eternità. Ma Terranova ha dato del filo da torcere sul piano legale (non solo a Tivoli), anche a Guidonia, dal 2005 in poi (in diversi anni), impugnando al Tar le proroghe delle attività estrattive che ricadevano nella concessione mineraria. Ora la Piseddu, post spostamento, e dopo scontri pesanti con i tecnici della Pisana in tema di cave, ha decretato il giro di boa a fronte di un tavolo regionale avviato e sulla strada della soluzione. L’inizio di una frana. Se questa è la burocrazia, poi c’è l’indirizzo politico da non sottovalutare.

Barbet in concilio ristretto.
Il sindaco è costretto a fornire la propria versione, aiutato nell’elaborazione, un po’ dal vice Davide Russo, un po’ dal capogruppo Giuliano Santoboni, sono ore nere e quello che ne viene fuori è più grave della partenza. Invece di ammettere la volontà di voler chiudere le cave, il sindaco cinque stelle incasella fatti smentiti dalle carte, per coprire scelte politiche precise che, guardando il quadro complessivo, non raccontano nessuna storia nuova. Vediamo di fare chiarezza.

Barbet dà i numeri. Il sindaco sostiene che si sia fatto “terrorismo psicologico” perché in realtà “la revoca della concessione riguarda una sola impresa”, dando poi ragioni precise, “è avvenuta perché la stessa non ha adempiuto a nulla di quanto previsto dalla norma e dagli accordi fatti proprio per non mettere a serio rischio il lavoro e il futuro dell’impresa stessa”. Per ordine. Il sindaco non dice che in realtà le aziende sull’orlo del baratro per le scelte dell’amministrazione sono già oggi 18. All’impresa colpita ieri dalla revoca, vanno sommate le 11 aziende sulle quali gravano i predinieghi con le stesse motivazioni tecniche. Cosa vuol dire? Presto detto, che l’esito sarà lo stesso. E’ matematica. Poi ci sono 5 imprese sulle quali pende il ricorso al Capo dello Stato avanzato dal Comune contro il parere favorevole della Regione, e 2 cave alle quali mancano le proroghe e sono in scadenza a giorni. Quindi, chiusura assicurata.

Barbet dà i numeri/2 e sono leggi. Secondo il sindaco l’azienda revocata sarebbe colpevole di gravi “inadempienze e ai sensi dell’articolo 11 della legge 241/90 avrebbe dovuto fornire oltre alle osservazioni anche una proposta per rimediare alle numerose mancanze. Cosa che non ha fatto, causando, come detta la norma, il ritiro dell’autorizzazione. Con chi se la vogliono prendere? – chiede – Le altre imprese che hanno una situazione simile, dovranno mettersi in regola presentando progetti credibili ai sensi della normativa”. L’intera tesi del Comune è smentita dalle carte: la proposta migliorativa è stata presentata prima di persona e poi via pec all’amministrazione. Ci sono date, fogli, e email a dimostrarlo. Ma Barbet non si ferma. “Stanno scavando ben oltre il consentito” dice il sindaco, ma non c’è alcun verbale di contestazione sulla profondità. Nessuno. Fino alla revoca di ieri mattina, l’autorizzazione era rilasciata per la profondità attuale. Un incredibile ferragosto per Guidonia e per il Palazzo, dove non si sa in base a quali suggerimenti, si è deciso per un’azione che porterà a una cinquantina di licenziamenti già nelle prossime settimane e all’inasprirsi della tensione sociale.

Barbet non si dimette. E poi c’è la polemica contro chi l’ha criticato in queste ore, accusandolo di voler uccidere l’economia della città, mandando a casa duemila persone. “Un discorso a parte merita il pessimo atteggiamento dei partiti ed in particolare di alcune correnti del Pd locale, alle quali rigiro l’invito alle dimissioni, che non hanno mai dato il minimo contributo al processo che stiamo intrapredendendo in Regione e come sempre accade, sono solo capaci di denigrare i progressi di una città che sta rinascendo nel pieno rispetto della legge. Si rendessero utili e si mettessero il cuore in pace, il governo della città è saldo e non saranno le loro perdenti urla sguaiate a metterci in pensiero”. Ma dopo un anno di governo, buche, erba alta, parchi chiusi, città sporca, eventi annullati, crisi del lavoro, Barbet è il saldo sindaco di una città fantasma.
Gea Petrini

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